SPOLETIUM n. 56, N.S. n.12, 2019: imminente l’uscita

E’ ormai imminente l’uscita del nuovo numero della nostra rivista, malgrado le grandi difficoltà subentrate nella fase finale della sua preparazione, causate dalla situazione relativa alla diffusione e alla gestione della pandemia di Coronavirus19. Ci auguriamo che possa essere presente nelle librerie entro il mese di maggio. Sarebbe un segnale positivo, a conclusione di un lungo periodo che ha visto la chiusura di ogni attività, compresi i luoghi di studio, biblioteche, archivi e musei, così importanti per noi, per la coesione sociale e per la condivisione di conoscenze e passioni. 

La copertina  fa riferimento ad uno dei saggi contenutivi, Preliminari per la ricerca delle fonti letterarie della camera pinta della Rocca Albornoziana, del professor Bruno Toscano. Ci fa molto piacere segnalare anche i saggi di Ginette Vagenheim e di Elisabetta Frullini, concessi dalle autrici, ospiti nei cicli delle conferenze dell’Accademia del 2018 e del 2019. I saggi di Bernardino Ragni  e di Letizia Ermini Pani, recentemente scomparsi, ci faranno sentire ancora fra noi le loro persone, con le peculiarità dei loro interessi negli ambiti delle rispettive discipline.

La rivista è introdotta da alcune considerazioni di Giovanna Sapori, Direttore Scientifico di Spoletium, che comprendono un necessario richiamo al tema della alla salvaguardia e al recupero delle opere d’arte e del patrimonio monumentale coinvolti dai terremoti del 2016. Riteniamo utile pubblicare qui di seguito  il suo editoriale:

“IN QUESTO NUMERO
Giovanna Sapori

L’Accademia degli Ottusi ha intensificato nell’ultimo decennio la sua attività nel promuovere e realizzare iniziative delle quali la presidente Liana Di Marco scrive in questo numero. L’attività
comprende la promozione o la segnalazione di ricerche e studi sulla storia e sulla cultura a Spoleto anche nel contesto regionale e nazionale, la informazione sui risultati degli scavi archeologici compiuti dalla Soprintendenza, sui restauri di opere ed edifici, legati anche al consistente numero di restauratori presenti a Spoleto, sui progetti e interventi urbanistici, come quelli di forte incidenza collegati alla mobilità alternativa, su novità di carattere scientifico o sullo stato e lo sviluppo delle eccellenze di coltivazioni di antica tradizione. Tutto questo si riflette in varia misura in “Spoletium”, rivista dell’Accademia. L’ultimo numero di “Spoletium”, in realtà un numero doppio (2017/2018, 10-11), è stato interamente dedicato al tema delle conseguenze del terremoto del 2016, dei danni e delle perdite nella Valnerina, nel Nursino e nel Casciano storicamente in intenso dialogo con Spoleto. L’obbiettivo era mettere in risalto la ricchezza del patrimonio artistico anche come possibile fattore economico di rinascita e nello stesso tempo offrire un aggiornato, veridico resoconto dello stato degli edifici e delle opere. Sotto il titolo Arte al centro dell’Appennino. Dopo il terremoto vi è infatti presentata una scelta di opere, dal XIII al XVIII secolo, non nello stato attuale, cioè nei musei, nei depositi, oppure distrutte, danneggiate o ancora sotto le macerie, ma come se fossero tutte ancora nella loro collocazione originaria e in “perfetto” stato di conservazione. L’intento è illustrare i caratteri identitari del patrimonio: la qualità delle opere, la densissima distribuzione nel territorio, l’organico rapporto con la storia sociale ed economica, la fitta presenza di esiti dell’incontro di culture diverse, da Firenze a Roma, all’Adriatico. La rassegna è seguita da riflessioni e proposte sulle prospettive possibili per la ripresa e la ricostruzione nella Valnerina, nel Nursino e nel Casciano e da risultati di nuovi studi che mettono in rilievo la vitalità e la secolare vicenda di interrelazioni dell’area. L’impegno dell’Accademia degli Ottusi sul tema del post-terremoto non ha soluzione di continuità ma bisogna sottolineare anche altri aspetti dell’attività in corso. Nell’ambito della promozione della conoscenza della storia di Spoleto è emerso il progetto di sviluppare gli studi sull’Umanesimo. È singolare, infatti, pur considerando la capillare ricchezza e varietà culturali che caratterizza tutta l’Italia, che in questa piccola città e nei suoi dintorni abbiano avuto origine fra Quattrocento e Cinquecento eminenti uomini di studio che a Roma, a Firenze o a Napoli svolsero la loro attività anche con funzioni e incarichi nelle corti. Fra questi: Gregorio Elladio, precettore di Giovanni dei Medici (poi papa Leone X), Pier Leone Leoni, Gioviano Pontano intrinseco della corte aragonese a Napoli, Pier Francesco Giustolo, Benedetto Egio, il vescovo Fabio Vigili. È quindi con soddisfazione che pubblichiamo in questo numero il primo frutto della iniziativa sull’Umanesimo: il saggio di Ginette Vagenheim (Università di Rouen) su Benedetto Egio. La studiosa ne rivela la instancabile attività a Roma nel pieno Cinquecento come profondo conoscitore della lingua greca e latina, poeta, filologo, traduttore, studioso di epigrafi e di monete, tanto da essere l’interlocutore e in varie occasioni il consulente di famosi studiosi antiquari come Pirro Ligorio e Bartolomeo Marliano. Nell’ambito degli studi su personaggi che in epoche e campi diversi si distinsero a Roma un altro notevole contributo è quello su Vittori, famoso cantante e compositore nella cerchia di Gregorio XV Ludovisi e di Urbano VIII Barberini. Elisabetta Frullini, una giovane studiosa, che sta preparando una tesi di dottorato in Storia dell’arte all’Università di Vienna, pubblica novità anche d’archivio e approfondimenti sulla biografia e la collezione d’arte di Vittori, artista virtuoso e anche benefattore della città di origine. Cambiando argomento, apre nuove prospettive lo studio di Bruno Toscano sul metodo con cui ricercare e utilizzare le fonti letterarie degli affreschi quattrocenteschi della «camera pinta» nella Rocca Albornoziana con complesse scene in cui compare anche un misterioso personaggio di nome Buicar. Fra le scoperte e riscoperte: il piemontese Anselmo Ludovico Avellani “pubblico geometra” del Comune di Spoleto nella seconda metà del Settecento (Giuliano Macchia); una lettera di Federico Zeri a Spoleto (Roberto Quirino); il commercio dei marmi colorati fra Roma e l’Umbria nel Cinquecento (Livia Nocchi) e per le attualità sullo stato del patrimonio si registrano vigili segnalazioni di oggetti e opere spariti dalla pubblica vista ma non solo (Lamberto Gentili). Infine, Letizia Ermini Pani, autorevole medievista e direttore per molti anni di “Spoletium”, e Bernardino Ragni, studioso di scienze naturali presso l’Università di Perugia, sono ricordati con la pubblicazione di due loro articoli come attivi indicatori della memoria del loro intenso lavoro nel mondo degli studi e della formazione.”

Sarà senz’altro opportuno organizzare appena possibile la presentazione pubblica di questo nuovo numero di Spoletium, nei tempi e nelle modalità che saranno possibili successivamente all’attuale pandemia, alla luce delle conseguenti problematiche inerenti al lavoro culturale e a tutte le professionalità e le competenze a questo collegate.

E’ per questo che proponiamo qui di seguito, sperando di fare cosa utile e gradita, anche l’editoriale del numero di Aprile del “Giornale dell’arte”, che senz’altro offre numerosi spunti di riflessione sull’attuale situazione e sul futuro prossimo venturo. 

Tutto chiuso, tutti a casa

La perdita di introiti per chi lavora nel mondo dell’arte non è parziale. È totale. Economia di guerra è un eufemismo: il restauro del campanile romanico a cento metri dalla nostra redazione reca la data del 1940. Almeno si restaurava. Certamente anche qualcosa d’altro. Adesso niente.
A differenza di un’alluvione o di un terremoto che distrugge tutto, tutto continua a esistere. Ma tutto è come morto. Immobilizzato e inaccessibile.
Potrà apparire assurdo, ma la copia del giornale che leggete sarà probabilmente, questo mese, una delle rarissime manifestazioni di attività «tangibili» del mondo dell’arte. Lo pubblichiamo forse irragionevolmente, in condizioni di assoluta non economicità, proprio come si sventola una bandiera. Per segnalare che c’è ancora vita, che la vita continua. Leggiamo appelli, suppliche, lunghi elenchi di richieste, liste circostanziate del fabbisogno. Tutto vero. L’arte vive di sovvenzioni.
Lo Stato appare l’unico soccorritore. In effetti non se ne possono immaginare altri. Ma è impensabile che uno Stato possa sostituirsi di colpo all’intera economia dell’intero Paese, che possa sovvenzionare milioni di persone e aziende disattivate di qualsiasi settore operativo o produttivo congelato, compreso anche il settore dell’arte (mica tanto micro). Noi alimentiamo il nostro Stato con le risorse del nostro lavoro. Con quale altro denaro lo Stato potrebbe darci ora il denaro che non produciamo e non gli diamo?
Lo Stato deve assicurare il pane quotidiano a milioni di persone rimaste prive di qualsiasi risorsa e di qualsiasi provento. Deve finanziare l’implacabile lotta contro la demoniaca malattia invisibile. Deve salvare migliaia di moribondi.
Perciò l’implorazione del mondo dell’arte non è sostenibile. L’unica richiesta seria e realistica, quel che possiamo (e dobbiamo) vigorosamente pretendere, è che il patrimonio artistico, chiuso e sigillato, sia mantenuto in condizioni di sicurezza assoluta. Infatti domani sarà proprio il patrimonio d’arte, di nuovo e sempre, la fonte di sopravvivenza per quanti potranno ancora sventolare la loro bandiera.

U.A., da Il Giornale dell’Arte numero 407, aprile 2020